Imparare dal distopico | Il Mignolo

di Beniamino Sidoti

Tra i sottogeneri preferiti del settore young adult, uno è quello della fantascienza: non intesa però come genere basato sulle possibili conquiste della scienza, ma come “narrativa speculativa”, modo per ragionare, tramite le storie, su possibili scenari alternativi a quello corrente. Su cosa si ragiona? Su tante cose, come è tipico della narrativa young adult: si ragiona sui sentimenti e sulle regole, sul futuro e sul nostro ruolo nel mondo, sulle limitazioni visibili e su quelle nascoste. Lo strumento principale che accomuna la maggior parte di questi romanzi è la distopia.

Una distopia, secondo la definizione da manuale, è una utopia degenerata in maniere imprevedibili; la rappresentazione di un sistema di governo, per lo più e quasi sempre una tirannia, che prevede delle regole che sono conseguenze estreme di qualcosa che vediamo ai giorni nostri. Le prime distopie scritte sono per esempio quelle che fanno da sfondo a 1984 di George Orwell, con il suo Grande Fratello che controlla tutto e con l’istituzionalizzazione dei momenti d’odio; o Fahrenheit 451 di Ray Bradbury, in cui i libri sono stati resi fuorilegge.

La distopia è un’onda lunga

I romanzi distopici si impongono all’attenzione di chi si occupa di narrativa per adolescenti con la quadrilogia di Lois Lowry The giver del 1993 (vincitrice nel 1994 della prestigiosa Newbery Medal, adattata per il cinema nel 2014): il primo romanzo viene accolto con curiosità e piacere in particolare da una generazione di scrittori e soprattutto scrittrici, che ne apprezzano alcuni elementi di novità non presenti nella “classica” distopia di autori di fantascienza (e non: hanno scritto distopie più o meno celebri anche Corrado Alvaro, Cormac McCarthy, Margaret Atwood, Ishiguro, Murakami e Houellebecq).

Anzitutto, nella distopia per young adult le vicende sociali si intrecciano con l’educazione sentimentale del protagonista (o, come spesso accade, della protagonista): la scoperta di come funziona il mondo si intreccia con le altre scoperte tipiche della crescita.

Senza pretesa di scrivere un percorso di lettura sulla distopia, i romanzi distopici per ragazzi parlano di libri e memoria (come in The Giver), di giochi e competizione (Hunger Games), di predestinazione e scelte personali (Divergent, ma anche Matched), di dittatura del gruppo (come in un libro profetico e purtroppo meno conosciuto: Feed, di M.T. Anderson), del controllo pervasivo delle nostre abitudini (X, di Cory Doctorow), di apparenza personale (Brutti, Perfetti e Speciali, la trilogia di Scott Westerfeld). Sopra ogni altra cosa, nei distopici per ragazzi ha luogo e dignità la ribellione, che diventa un modo per confrontarsi con regole che non piacciono o non sono accettabili.

La distopia letta o vista in classe

La lettura di un libro distopico, o la visione di uno dei numerosi film (e serie tv) che sono usciti a partire dagli stessi libri, può essere preziosa in classe: perché permette di discutere non solo della trama e delle vicende affrontate dai protagonisti, ma dell’intero mondo in cui si muovono. È un allargamento di visione e di campo che non si dà sempre nella lettura di un testo per ragazzi, e che può essere prezioso proprio per parlare di come la narrazione possa aiutare a immaginare mondi diversi, regole diverse.

Già mentre descriviamo un qualsiasi romanzo distopico è evidente che la società, in questo genere di storie, è protagonista quanto i personaggi. Poi possiamo chiederci cosa faremmo noi: se, cioè, è giusto contravvenire alle regole (come quasi sempre avviene), se è possibile cambiarle, a chi tocchi farlo e in che modo. Possiamo ragionare intorno alle società reali: parlare, a seconda dei contenuti, di libertà di informazione o di pena di morte, di libertà di orientamento sessuale o di consumismo, di eccesso di controllo o di mancanza di controllo, di tasse e di multinazionali, di iniziativa individuale e di diritti umani.

Come creare una distopia

Fatto questo, il passo successivo è giocare a immaginare tante altre distopie possibili. Per immaginare una distopia possiamo partire da una legge, da una regola singolare, e intorno a questa costruire un mondo.

Cosa possiamo proibire? Cosa possiamo rifiutarci di regolare?

Potremmo immaginare una società in cui la musica è proibita: e se ci pare poco, cerchiamo di immaginarne le conseguenze e la resistenza, il consumo clandestino di musica. Oppure, cambiando argomento, potremmo fantasticare intorno a un mondo che proibisca di tenere con sé animali domestici (qualcosa del genere compare nella lunga saga cinematografica del Pianeta delle scimmie). Possiamo proibire la cartografia o la geografia; immaginare di impedire la storia e il ricordo; vietare la scienza… se vogliamo passare in rassegna le materie scolastiche.

Ancora, possiamo pensare al peggiore dei futuri possibili: un mondo stravolto dal cambiamento climatico, in cui le nazioni non sono riuscite ad accordarsi sul controllo delle emissioni. Intorno a questo nodo, possiamo pensare alla società che ne scaturisce, e ai suoi possibili ribelli: e qui costruire i nostri protagonisti.

La distopia rischia di essere un genere profondamente educativo.

ben.sidoti@gmail.com

B. Sidoti è scrittore e formatore