La capacità femminile di plasmare il futuro. Intervista a Lauren Groff

Un libro profondamente antigerarchico

Intervista a Lauren Groff di Virginia Pignagnoli

Nell’era del memoir e dell’autofiction, lei ha scelto di ambientare il suo romanzo nel Medioevo. Dello scrivere un romanzo storico, che cosa l’ha interessata di più? La distanza temporale le ha fornito una prospettiva diversa per osservare problemi tutt’oggi attuali come quello delle disuguaglianze di genere?

Interessante. Ma davvero questa è l’era del memoir e dell’autofiction? Non ne sono sicura. Io credo che molti autori contemporanei traggano una grande soddisfazione dal giocare con la distanza tra il sé percepito e il narratore, e le tracce di questo gioco sono visibili in tanti lavori pubblicati oggi. Tuttavia, si tratta di un fenomeno ricorrente (infatti l’autofiction nasce nel momento in cui nasce il romanzo e già Don Chisciotte gioca con questa idea). Dal mio punto di vista, siamo alla fine di un breve e ciclico periodo in cui la prima persona è stata predominante. In ogni caso, ci sarà sempre un grande interesse nella finzione letteraria in quanto tale e, talvolta, allargare i confini oltre il sé può essere utile al lettore e all’autore per avere una visione storica del mondo un po’ più ampia.

Il modo in cui lei ha deciso di raccontare la storia di Maria di Francia è stato influenzato dalle sue opere? Per esempio, la scelta di usare il tempo presente, che in Matrix crea un senso di impellenza e familiarità, vuole forse essere un omaggio all’uso del presente nei lais della poetessa?

Sì, scegliere se usare il presente o il passato era tra quelle centinaia di idee preliminari sulle quali mi sono interrogata quando ho iniziato a scrivere il libro. In francese antico c’è un presente storico che è interessante perché il testo passa dal passato al presente in maniera piuttosto frequente, e questa è una cosa abbastanza inusuale e affascinante, specialmente per chi proviene da un ambiente culturale anglofono, dove è più comune trovare uno scrittore che, una volta deciso se usare il passato o il presente, poi manterrà questa scelta fino alla fine. A me piace il presente associato al romanzo storico, perché lascia un effetto tangibile sul lettore. E uno dei temi nascosti nel libro è proprio la fusione tra passato e presente, il modo in cui il passato e il presente si parlano attraverso gli anni; ho pensato che scrivere questa storia di mille anni fa al presente fosse un modo stimolante per osservare questo dialogo nei secoli.

La narrazione esplora l’idea di catarsi: nomina la catarsi che ritroviamo nei rituali alla base della fede mistica, la catarsi data dal dolore fisico autoinflitto nel tentativo di “superare” il trauma di una violenza sessuale ripetuta nel tempo, la catarsi del pianto. Lei crede che anche nell’atto della scrittura e della lettura ci sia una sorta di catarsi?

Penso che nel passato sia scrivere che leggere siano stati atti catartici, e sono certa che lo siano ancora per molte persone; però forse non credo che la catarsi sia l’obiettivo principale della finzione letteraria. Penso che probabilmente l’arte non dovrebbe avere nessun uso pratico, e che il ruolo della finzione letteraria sia quello di permettere sia allo scrittore che al lettore di porsi domande difficili che non hanno risposte; domande che a loro volta permettano di farsene altre ancora più complesse.

Il senso di spiritualità che emerge dal romanzo è strettamente legato alla comunità che giorno dopo giorno viene costruita dalle protagoniste, come se l’idea di accudimento materno – l’atto quotidiano di cura nei confronti di sé e di ciò che ci circonda – fosse la chiave per sentirsi vicino a dio. Per me, il titolo stesso, Matrix, è pensato per evocare questa capacità che, potenzialmente, ognuno ha. Ci dice qualcosa al riguardo?

Certamente. Io tendo a credere che la vera fede sia piuttosto distante dal modo in cui il dogma istituzionale l’ha descritta. Non c’entrano gerarchie e sistemi, che si fondano sul predominio; si basa piuttosto, come dici, sulla cura, che è un ambito e un’idea tradizionalmente associata a spazi femminili. Penso che la Chiesa primitiva abbia molta responsabilità sulle strutture che ancora oggi uccidono il pianeta, e credo che si sarebbero potute percorrere altre strade, fondate sull’idea di cura materna, che ci avrebbero aiutato a non ritrovarci sull’orlo dell’apocalissi climatica in cui ci troviamo ora.

Nei ringraziamenti alla fine del libro dice che ha trascorso del tempo all’abbazia Regina Laudis, nel Connecticut. Può raccontarci qualcosa su quell’esperienza, sul posto, e sulle persone che ha incontrato?

Volentieri. Ad essere sincera, non vi ho trascorso molto tempo; si è trattato giusto di qualche giorno. Sono andata per respirare l’atmosfera e per capire un po’ meglio come fosse una comunità benedettina e sentire le suore cantare la messa, perché non è tanto diverso da com’era ai tempi di Marie. Ho amato quelle suore, ognuna di loro. Sono così aperte di mente e intelligenti e premurose e gentili. Mi hanno lasciato lavorare con loro in giardino e tagliare la legna, che è stato divertentissimo, e hanno nutrito noi ospiti molto bene con pane e formaggio e zuppa casereccia, amorevolmente. Sono tornata a casa commossa dalla cura che le suore avevano l’una per l’altra, e anche profondamente colpita da quanto bene funzionava quella piccola comunità.

Nella raccolta di racconti Florida (Bompiani , 2018), ha esplorato il tema dell’impatto umano sull’ambiente. In Matrix, allude di nuovo a questa questione quando la vita nella foresta intorno al monastero viene distrutta dal labirinto che Marie decide di costruire per proteggere le suore. Quest’allusione si riferisce al dualismo utopia-distopia o è un modo per suggerire che l’essere umano è incapace di abbandonare una visione antropocentrica del pianeta, oggi come nel XII secolo?

Sì! A tutto. Il mio libro è profondamente antigerarchico; l’idea che gli esseri umani occupino il gradino più alto della piramide, che siano i più vicini a dio, è pericolosa e falsa. Al contrario, noi siamo solo uno degli insiemi nel vasto intreccio della vita e, sfortunatamente, anche l’insieme che, a questo punto, può lasciare quell’intreccio intatto o demolirlo. Se ci fossimo considerati uguali al resto dei viventi, anziché superiori ad essi, se avessimo capito che gli animali hanno dei diritti, non ci ritroveremmo adesso con oltre otto miliardi di anime che spingono il pianeta verso il limite. Noi umani non ci saremmo trasformati nella nostra stessa peggior minaccia.

 


 

Lauren Groff
Matrix

ed. orig. 2021, trad. dall’inglese di Tommaso Pincio,
pp. 272, € 19,

Bompiani, Milano 2022

Matrix, quarto romanzo della scrittrice statunitense Lauren Groff, ritaglia uno spazio nella storia medioevale per un personaggio femminile potentissimo: un’orfana, figlia illegittima di re, bambina crociata che coraggiosamente trova rifugio alla corte di Eleonora d’Aquitania e, da qui, in un’abbazia reale di cui, giovanissima, sarà nominata priora. I temi toccati da Groff, in maniera mai banale, sono molteplici: c’è l’amicizia, la spiritualità, il ruolo della bellezza ma anche del potere, l’amore romantico, la perseveranza. L’aspetto che resta più impresso di questo libro dedicato dall’autrice alle sue “sorelle”, è la capacità di Marie di creare una comunità, a tratti volutamente utopica, in un luogo che inizialmente le è ostile. La volontà di questa donna è travolgente e, piano piano, grazie al lavoro quotidiano di tutte, il monastero diventerà un posto quasi magico. La vita nell’abbazia è ricca di sfide e la sua rappresentazione offre a Groff l’occasione per portare avanti un discorso sociale il cui eco risuona in maniera chiara in questi tempi postpandemici, di emergenza climatica, e di tendenze reazionarie (negli Stati Uniti, si veda ad esempio il ribaltamento della sentenza Roe v. Wade per il diritto all’aborto). La comunità, che si costruisce giorno dopo giorno, offre un rimedio all’iniziale sconforto di Marie e una risposta concreta alla vulnerabilità delle sorelle nell’abbazia, vulnerabilità che si declina in vari modi sino a diventare una forza sotto la guida di Marie, la loro matrix. Ed è proprio il concetto stesso di matrix ad essere centrale per la costruzione di questo spazio: la madre non è solo colei capace di dare la vita, ma anche chi può plasmare il futuro con la propria visione. La matrix offre soluzioni alle crisi del quotidiano mettendo in discussione quei presunti indicatori di felicità, tra cui il matrimonio, che la studiosa anglo-australiana Sara Ahmed ha recentemente criticato (di lei in Italia è da poco stato pubblicato, per Edizioni EtsVivere una vita femminista, 2022). Certamente la comunità dell’abbazia di Marie ha un equilibrio delicato, che va protetto, curato, e per farlo serviranno nuove regole, nuove risorse e, in generale, quasi una rivoluzione dell’istituzione in sé come a sottolineare lo stretto legame tra etica e politica di cura. Interessante, infine, è osservare come i dettami del romanzo storico vengano da Groff corretti e adattati all’intreccio narrativo come a voler creare, anche su un piano metafinzionale, una nuova matrice.

vpignagnoli@unizar.es

V. Pignagnoli è ricercatrice in letteratura angloamericana all’Università di Saragozza