Mariapia Veladiano – Adesso che sei qui

Il valore salvifico della fragilità

di Alessandro Zaccuri

Mariapia Veladiano
Adesso che sei qui
pp. 270, € 18,
Guanda, Milano 2021

Adesso che sei qui - Mariapia Veladiano - Libro - Guanda - Narratori della  Fenice | IBSLa sentenza è abusata e forse perfino apocrifa, ma l’idea che per prendersi cura di un bambino occorra un villaggio intero assume una connotazione meno prevedibile quando la si applica alla seconda infanzia della senilità. È il tempo nel quale non ci si ricorda più come si fa di conto (oppure si fa di conto inventandosi una matematica personale e fantasiosa), nel quale il passato si confonde con il presente, la fantasia di quello che avrebbe dovuto essere si sostituisce alla realtà di quello che è stato, i volti e le situazioni si mescolano di continuo e, più che altro, si dimentica: dove stanno le cose, come ci si veste con il caldo e con il freddo, che cosa è opportuno dire e su che cosa, invece, sarebbe meglio restare in silenzio. Capita spesso, con l’età può capitare. Nel nuovo romanzo di Mariapia Veladiano, Adesso che sei qui, capita a zia Camilla, che in piena estate, nell’ora più calda del giorno, appare nella piazza del paese vestita come se dovesse affrontare i rigori dell’inverno. Malore, trattenuto allarme di chi “la Regina” (la chiamano così per via del portamento elegante e un po’ altero) la conosce da sempre, intervento rassicurante di Andreina, la nipote che si considera figlia di Camilla, anche se a rigore Camilla non sarebbe sua madre. Felicemente sposata con un uomo che, caso raro, lavora solo quel tanto che basta e madre a sua volta di figli ormai grandi, Andreina purtroppo non riesce a rassicurare se stessa. Prova a illudersi per un po’, ma poi è costretta ad ammettere che i segnali sono troppo evidenti e numerosi. La casa della zia, per esempio, lei non l’ha mai vista così in disordine, né può essere soltanto distrazione quella che ha trasformato il frigorifero in una discarica di cibi guasti.

No, questo è senz’altro l’esordio, parola insidiosa e ambigua, che nella fattispecie non si riferisce all’inizio di una carriera artistica, ma all’avanzare del morbo di Alzheimer. “L’esordio – annota Andreina con la sua consueta passione per la semplicità e l’esattezza – non è quando la malattia si manifesta al mondo. È quando il mondo la vede”. Una volta che il riconoscimento è avvenuto, però, non ci si può più sbagliare. E qualcosa bisogna fare. La soluzione più immediata sarebbe quella di trovare una “struttura” (altra parola infida) che accolga zia Camilla, mettendola al riparo dai pericoli che correrebbe a vivere da sola. Ma Andreina è di un’altra opinione. Adesso la casa della sua infanzia anomala e incantata può diventare la casa dell’estrema infanzia di questa strana madre putativa, che un giorno lontano l’aveva voluta con sé, mettendola in salvo dal grigiore di un’esistenza inspiegabilmente povera di attenzioni.

Una volta andava così, tra sorelle ci si potevano anche prestare i figli, specie in provincia, e qui siamo in un’Italia orgogliosamente appartata, tra il lago di Garda e le montagne del Trentino. Il paese, magari neanche troppo immaginario, si chiama Starniglio ed è Starniglio, appunto, che d’ora in poi si prenderà cura di zia Camilla. Lo farà attraverso le sue donne, molte delle quali vengono da molto lontano, a cominciare da Merhawit, la giovane eritrea che per prima contribuisce alla nuova routine imposta da quel “tedesco,” Alzheimer, che nella convinzione di Camilla è uno dei tanti spasimanti della sua bella nipote (“Ma non hai anche un marito, tu?”, domanda spesso la zia ad Andreina). Dopo Merhawit verranno Naima con i suoi bambini, Fuad e Qasim, verranno le operatrici del Comune e le volontarie, tutte puntualmente conquistate dalla stravagante gentilezza di questa donna che per loro è molto più di una paziente, molto più di un’anziana a cui badare. Con la sua tenacia, Andreina convoca un’allegra alleanza femminile che viene ribadita, anziché intaccata, dai rari interventi maschili, come quello del fratello di Camilla, zio Alfonso, un sacerdote volenteroso e pasticcione, che fa quel che può, è vero, ma non riesce a fare molto. Il finale, inevitabile, è segnato da un’inconsueta dolcezza, come si addice a ciò che è un compimento e non una perdita.

A dieci anni dalla pubblicazione del suo primo romanzo, La vita accanto (Einaudi, 2011), con Adesso che sei qui Mariapia Veladiano torna sui temi che più le sono cari e caratteristici, primo fra tutti la serena consapevolezza del limite, in virtù della quale la stessa fragilità assume il valore salvifico di un destino riconosciuto. Di inedito, rispetto alla trama fortemente drammatica di Il tempo è un dio breve (Einaudi, 2012) e Una storia quasi perfetta (Einaudi, 2016), nel nuovo romanzo interviene un più accentuato elemento di leggerezza, quasi un umorismo sapienziale nel quale pare di riconoscere l’eco degli studi teologici di Veladiano. Competenza, questa, ben dissimulata in una trama che ha l’immediatezza e la delicatezza di una quotidianità condivisa. Eppure ci sarà ben un motivo se uno dei capitoli di Adesso che sei qui (nel linguaggio di zia Camilla è l’espressione che meglio di ogni altra celebra la “vera presenza” dell’amore) si intitola Lei, come il libro del 2017 (per Guanda) nel quale la scrittrice ha dato voce a Maria di Nazareth.

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A. Zaccuri è giornalista, scrittore e saggista