Le due scrivanie di Anne Carson: una per l’accademia, l’altra per la poesia

Mangiando le pagine

di Micol Jalla

Una quindicenne vestita come Oscar Wilde entra in una libreria di Hamilton, in Canada, si trova davanti allo scaffale dei classici e apre un libro di poesie di Saffo. Resta folgorata dalla bellezza dell’alfabeto greco tanto che decide di iniziare a studiarlo. Chissà se Alice Cowan, la sua insegnante di latino che accettò di darle lezioni di greco antico in pausa pranzo, poteva immaginare che la sua studentessa sarebbe diventata una tra le voci più acclamate della letteratura canadese e internazionale contemporanea, insignita di moltissimi premi e da anni tra i favoriti per il Nobel. Quando era piccola, Carson lesse un libro – Lives of the Saints – che le piacque così tanto che ne mangiò le pagine. Fuor di metafora, è ciò che continua a fare da tutta la vita, entrando in contatto diretto con gli uomini e le donne del passato per poi trasmettere ai lettori il loro messaggio, filtrato attraverso la propria sensibilità.

Economia dell'imperduto - UtopiaQuella per i classici, dunque, non è stata vocazione – alle superiori sceglie di studiare latino, ma dopo il primo anno lo abbandona per la dattilografia e lo riprenderà solo in seguito – ma folgorazione, un amore nato, come ogni forma di eros, da un desiderio e da una mancanza che per mantenere il proprio fascino devono restare inappagati. Poetessa, saggista, traduttrice, drammaturga e docente universitaria, esige che nelle note biografiche dei suoi libri si scriva: “Anne Carson è nata in Canada e per mantenersi insegna greco antico”. Una sintesi da cui emergono già due temi fondamentali: l’importanza delle origini – che si riflette non solo nella scelta dei classici come materia di studio, ma anche nell’amore per le etimologie e nella ricerca à rebours dell’origine prima dei fenomeni – e l’allusione al ruolo fondamentale che gioca il denaro da quando gli scambi letterari non sono più guidati dalla charis, “gratitudine” per i greci antichi, che con questo termine si riferivano anche alla “grazia” di una poesia. Questo è il tema principale di Economia dell’imperduto, uscito nel 2020 per Utopia, a cura di Antonella Anedda e nella traduzione di Patrizio Ceccagnoli. Oggetto della ricerca dell’autrice è il rapporto tra due linguaggi, tra due forme del mondo, quella poetica e quella monetaria: mentre il linguaggio poetico rinnova e inventa le parole e ne fa dono, quello economico prevede lo scambio tra un bene e il suo corrispettivo in denaro. Per dimostrarci la sua tesi, Carson si serve di due poeti, il greco Simonide di Ceo e Paul Celan, perché entrambi, in tempi e mondi distanti, sono riusciti a realizzare l’imperduto (unlost), ad attingere all’inessenziale che non ha un corrispettivo materiale o economico e che si manifesta nei passaggi da un’epoca all’altra, da una lingua a un’altra, da un mondo all’altro. Simonide fu il primo poeta che accettò denaro in cambio di versi, ma anche se nel passaggio tra dono e merce si perde il senso della charis il valore della sua poesia supera quello meramente economico. E in un modo differente ma analogo Celan, il poeta esule rumeno di origini ebraiche che scrisse sempre in tedesco, la lingua della madre e dell’oppressore, la lingua di chi mandò i suoi genitori a morire in un campo di concentramento, per poter scrivere deve reinventare ogni parola, sempre su quella linea impercettibile oltre cui c’è il nulla. Lì, in bilico, in solitudine, concepisce la meraviglia poetica dellimperduto.

Eros il dolceamaro - Anne Carson - Libro - Utopia Editore - | IBSNel 2021, sempre per Utopia, grazie all’intuito e al coraggio di Gerardo Masuccio, esce Eros il dolceamaro, a cura di Emmanuela Tandello e tradotto da Patrizio Ceccagnoli, elaborazione letteraria della tesi di dottorato – Odi et Amo Ergo Sum – sostenuta all’Università di Toronto e pubblicata in inglese nel 1981. Il libro ruota attorno alla definizione saffica di eros come “dolceamaro” (glukupikron): un’esperienza simultaneamente piacevole e dolorosa, sulla quale non abbiamo controllo. “Eros viene dal nulla, alato, per travolgere l’amante, per privare il suo corpo degli organi vitali e della sostanza materiale, per indebolire la sua mente e distorcerne il pensiero, per sostituire le normali condizioni di salute mentale con la follia”. Eros ci mostra l’assenza, ci impone il desiderio e ci spinge a superare ogni limite. L’interesse per l’amore al tempo dei greci antichi non è casuale: nel momento del passaggio dalla cultura orale a quella scritta, l’intimità individuale diventa soggetto poetico e conduce il poeta oltre l’esperienza comunitaria della poesia epica e orale. Eros il dolceamaro non è un saggio scientifico né un’opera letteraria, non è critica, non è poesia, ma è tutte queste cose insieme. Come tutte le opere di Anne Carson, che non si lasciano incasellare in generi specifici: non solo saggi, non solo poesie, non solo romanzi, non solo traduzioni, ma spesso e volentieri tutte queste forme e altre ancora, unite in un prodotto unico e personale che talvolta supera anche i confini del libro, diventando performance, disegno, fumetto… Anne Carson demolisce i muri tra poesia, memoir, fiction, romanzi, saggi, libretti d’opera, disegni e persino tango – La bellezza del marito: un saggio creativo in 29 tango è il titolo di una delle sue opere, pubblicata in Italia nel 2001: è una scrittrice così anticamente moderna o modernamente antica da sapere che una narrazione può ancora abitare più di una forma.

Scrivendo Eros il dolceamaro, per la prima e ultima volta (a suo dire), Carson riesce a vestire in contemporanea il cappello dell’accademica e quello della scrittrice, a far in modo che i due impulsi – “quello accademico e l’altro” – si muovano nello stesso orizzonte. Da allora ha deciso di avere due scrivanie diverse, in due stanze separate: una per l’attività accademica, per scrivere articoli scientifici e preparare i suoi corsi – dal 1979 ha insegnato letterature classiche e comparate in varie università americane e canadesi, tra cui McGill, Michigan, NYU, Princeton, oltre a essere stata docente a contratto e visiting professor a Berkeley, Stanford e altre – e una per quella artistico-letteraria. In questo, possiamo dire che la sua percezione non coincide con quella dei lettori e della critica: raramente è possibile comprendere da quale scrivania abbia scritto. Se in America ha un grande studio e diverse scrivanie, quando va a nascondersi in Islanda con Currie (il secondo marito che lei chiama, eloquentemente, il Randomizer, e con cui spesso collabora) ha una piccola stanza e una sola scrivania per lavorare: in questo caso, dice, la modalità di interazione creativa tra i suoi lavori è l’immagine di una collisione di iceberg.

Si fa guidare da sensazioni, più che da teorizzazioni. Dovendo tenere, a un convegno, un discorso sulla differenza tra prosa e poesia, Carson affermò di non poterla descrivere o definire e parlò invece della sua “fragranza: perché credo di poter sentire (smell) la distinzione”. Anche per questo, oltre che per il suo carattere schivo, è estremamente restia alle interviste: “Non penso alla scrittura in modo teorico. Quando lo faccio, si interrompe la linea di esplorazione”. Delle sue opere, in italiano possiamo leggere anche Autobiografia del Rosso, considerato una vera rivelazione letteraria da Susan Sontag e Alice Munro, testo affascinante ed esemplare per comprendere l’approccio di Carson ai classici: in questo romanzo in versi ricrea la Gerioneide di Stesicoro (VI secolo a. C.) a partire dai frammenti superstiti. Racconta le sofferte vicende di un mostro di oggi, Gerione, giovane alato dalla pelle rosso vermiglio e il rapporto difficile e impari con Eracle, seduttore sfrontato, realizzando un’inedita e poetica riscrittura di un mito greco e al tempo stesso un moderno romanzo di formazione.

Era una nuvola, titolo scelto dall’autrice stessa per la versione italiana di Norma Jeane Baker of Troy, è un’opera teatrale in versi liberi, un melologo, una pièce per musica e parola, concepita per l’interpretazione di Ben Whishaw nel ruolo di Norma Jeane Baker (il vero nome di Marilyn Monroe) il cui destino si intreccia qui con quello di un altro simbolo archetipico del fascino femminile, Elena di Troia. Le due donne si misurano con la difficoltà di vivere in un mondo di uomini che amano la guerra: l’opera è una riflessione antimilitaristica sulla guerra e insieme un atto d’accusa sulla condizione della donna, una riflessione sul desiderio e sulla bellezza, sul rapporto tra verità e menzogna, sul conflitto bellico e su quello amoroso. “Invece di preoccuparci della rilevanza dei classici, potremmo riflettere su come rendere noi stessi rilevanti per i classici”: Carson non rende i classici contemporanei, non li aggiorna né li attualizza, ma attraverso la loro umanità entra in possesso di una chiave di accesso all’esperienza presente, personale e sociale. Il contatto con i classici si pone su un piano di parità, di contatto, di umanità, di amicizia. Il rapporto umano che Carson instaura con ogni autore e ogni personaggio si percepisce immediatamente, ed è questo che impedisce alle sue opere di cadere nella trappola dell’ostentazione esibizionistica. Ha vissuto i rapporti, ha “mangiato” le pagine: le citazioni non sono mai sfoggio di erudizione, ma espressione della sentita esigenza di condividere con i lettori il proprio percorso di essere umano in costante dialettica con gli autori della sua palestra poetica.

micol.jalla@edu.unito.it

M. Jalla è laureata in letteratura greca