Simone Innocenti – Vani d’ombra | Aspettando Book Pride

L’occhio nel buco della serratura

di Chiara Dalmasso

Simone Innocenti
VANI D’OMBRA
pp. 160, € 15,
Voland, Roma 2019

L’ossessione per il gesto di guardare accompagna Simone Innocenti dai tempi del suo esordio narrativo: tra i racconti che lo scrittore – cronista di nera per il “Corriere Fiorentino” – riunisce in Puntazza (L’Erudita, 2016), il più toccante ha per protagonista un uomo, ammalato, che combatte disperatamente la sua narcolessia facendo “tir-watching” in bilico su un viadotto dell’autostrada. Osserva dall’alto il viavai indefesso di veicoli e persone, un cannocchiale a proteggere l’occhio dall’urto di una realtà tenuta a debita distanza. Anche “Michele Maestri di anni 13”, l’io disgiunto che grida il suo dolore dalle pagine di Vani d’ombra, è uno che guarda: lo fa per ingannare il tempo e la noia di un pomeriggio d’estate in campagna. Il suo binocolo “non può vedere le stelle”, ma intercetta i frammenti delle vite degli altri: gesti privati, intimi, destinati a restare segreti, nell’ombra che li protegge dall’eco maligna delle voci paesane. Gli occhi di Michele, eterodiretto da una curiosità che forse è la curiosità di tutti, a tredici anni, forse si spinge un po’ oltre i limiti stabiliti dalle convenzioni, si infiltrano fugaci nella doppia esistenza di Milena, che in settimana è la colf del notaio, ma di domenica si veste di rosso e si intrattiene con uomini ogni volta diversi.

Quando lei lo sorprende in flagrante e lo chiude a chiave nell’armadio della stanza dove avvengono gli incontri, per Michele guardare non è più una scelta. E se prima, dall’alto dell’albero su cui si arrampicava per vedere senza essere visto, il binocolo incastrato tra i rami, assisteva alle scene di un film muto, ora, che è diventato suo malgrado spettatore di un caos violento, dal frastuono quasi animalesco, rimpiange il silenzio del crepuscolo tra le frasche. Ormai è troppo tardi. Intrappolato nel “vano” di ricordi scomodi e traumi irrisolti, “Michele Maestri di anni 13” precipita a tutta forza verso un destino claustrofobico e inclemente, verso una follia bianca e insospettabile che condurrà la sua vita (e il romanzo) ad un epilogo inatteso. Perché da quell’armadio, cella di contenzione a quattro mura di una mente che si inciampa di continuo in se stessa, non c’è via d’uscita: a vent’anni, bagnino per conto dello zio nel mare della Versilia, a trenta, con la fissa di costruire occhiali con i quali altri possano soddisfare il suo primitivo desiderio di visione, Michele è ancora lì, immerso nella penombra della stanza di Milena, l’occhio nel buco della serratura, accecato da una luce bianca che ha il colore della verità ma anche del vuoto, di circuiti cerebrali inceppati e saturi, ad un passo dal tracollo.

Vani d’ombra è il racconto delle singole fasi di un’agonia. Innocenti graffia la pagina di una scrittura ruvida, che tracima di dettagli e di immagini palpitanti, vivide: è una sonda che penetra in silenzio nei recessi della mente del protagonista e ne rende il film in un’unica sequenza che chiede di essere letta senza pause. Il ritmo incalza senza perdere tensione: fin dalle prime frasi ci si trova nel mezzo di un vortice ipnotico trascinante, che trasporta l’occhio avanti, fra il bianco e il nero della pagina, in virtù di una spinta inerziale che solo una prosa del genere sa innescare. La continuità della trama si spezza laddove urge che accada, con salti temporali dosati per non confondere: a Michele ci si avvicina con rispetto e non con compassione, nel tentativo (pienamente riuscito) di trarre fuori dal bianco informe della sua non-vita tutti i colori dell’arcobaleno.

chiaradalmasso92@gmail.com

C. Dalmasso è italianista