Sul Ponte diVersi | Editoriale I, Fabio Pusterla

Sul Ponte diVersi

Lunedì 15 aprile 2019. Ore 18:50. Brucia il tetto di Notre-Dame, crolla la guglia: Cenere, o terra (Marcos y Marcos, 2018). Un verso di Hikmet recita «prima che bruci Parigi». Ma che cosa accade dopo le fiamme, dopo gli incendi, dopo il fumo? Che cosa resta dopo il crollo di un ponte (Genova, 14 agosto 2018, ore 11:36), dopo un terremoto, tra la polvere e i calcinacci che si accumulano?

Macerie, lesioni, scricchiolii.

Durante l’incontro del 14 marzo abbiamo capito che anche la poesia di Fabio Pusterla parte da una simile consapevolezza. È una poesia che inizia dopo la fine, dopo un crollo, dopo un’estinzione, per interrogare “ciò che resta”. In un mondo fatto di macerie, mentre tutto sembra destinato alla frattura, alla crepa, tra le rovine la parola rimane e come un’eco si diffonde attraversando le fessure, come il “grido di ferito” (Fortini), che cerca in tutti i modi di farsi sentire. Ma la parola è anche la voce, il pianto di chi scava a mani nude e continua, e continua. Per questo motivo, eccola diventare facoltà di Andenker, possibilità di dirigere il pensiero verso il ricordo, nonché di rimettere insieme macerie, lesioni, scricchiolii. Come ha scritto Hölderlin Was bleibet aber, stiften die Dichter,  «ma ciò che resta, lo fondano i poeti».

Così, tra crolli e speranze, luoghi smarriti e “terre emerse”, la poesia di Pusterla non si pone solamente l’obiettivo di salvare il ricordo di qualcosa che si è perduto, bensì vuole difendere la capacità di istituire l’asse cronologico del tempo e custodire uno sguardo che sia in grado di percepire ancora la densità di quanto è dietro e oltre a noi. La memoria, facoltà cara al poeta, si presenta infatti come uno di quei sistemi segnaletici che troviamo a ridosso di un baratro, sul ciglio di una strada franata: mette in evidenza che qualcosa d’importante c’è stato, ma questo qualcosa ora si presenta come indicibile, perduto o incompleto, e non si può evitare di sentirne l’assenza; l’ombra scura segnala un vuoto che, sempre, rimane.

Nonostante il nostro tempo si presenti sovente costituito da macerie storiche, da fratture non ricomponibili, Pusterla non si vuole rassegnare a uno sguardo arreso, a una sconfitta. Verso la fine dell’incontro Pusterla ha ricordato che Aleksandr Herzen, mentre assisteva nei salotti parigini alle delusioni e alle amarezze dei suoi connazionali russi nel ricordare la patria lontana, non poteva far a meno di vedere come la luce entrasse dalle alte finestre della sala e come loro – i suoi connazionali –, invece, guardassero sempre da un’altra parte.

Ma dunque come si atteggia una poesia che riattraversa la storia, ne smuove le macerie, che soffia sulle ceneri e segnala, rammenta? Si comporta in modo nuovo: è una poesia insieme lirica e civile; è la sintesi – raggiunta a colpi di vita e di letture scientifiche e politiche – delle due sfere. Come Pusterla ha detto: il “civismo fa collage con la lirica”, perché è civile non la poesia “a tema”, ma solamente quella che “scombussola il mondo e la visione”. È inevitabile confrontarsi con le contraddizioni che un’etica di questo tipo comporta (e in cui l’io non può davvero mai pensarsi senza il mondo); a tal punto che qualche evasione oltre a essere lecita diventa necessaria. Ne deriva – come dimostrano molti versi de Le cose senza storia (Marcos y Marcos, 1994) – l’ingresso in dimensioni laterali come quella onirica, infantile, ludica, quasi a indicare vie e angoli prospettici alternativi. Tra questi, uno in particolare, quello dei bambini: proviamo a metterci dal loro punto di vista, ogni tanto, per vedere se tra i loro giochi, come suggerisce un verso di Pusterla, ci sia «il gioco che ci salvi».

Sul Ponte diVersi torna mercoledì 15 maggio alle ore 18.00 presso “Libreria Il Ponte sulla Dora”, in via Pisa 46 Torino. Ospite: Franca Mancinelli

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