intervista di Camilla Valletti ad Antonietta Pastore
Intervistiamo Antonietta Pastore, la storica traduttrice italiana di Haruki Murakami, a pochi giorni dalla lectio magistralis dell’autore giapponese ad Alba, quando gli ĆØ stato conferitoĀ premio La Quercia – Lattes Grinzane 2019.
Come lettrice esperta di Murakami, vede una trasformazione in corso nei suoi ultimi libri?
Mi sembra di siĢ. Nelle opere di Murakami Haruki coesistono, spesso si intersecano in proporzioni diverse, due temi principali: il surreale che irrompe nella quotidianitaĢ, e il rimpianto per cioĢ che nella vita abbiamo irrimediabilmente perduto. Ora, nei romanzi piuĢ recenti, Murakami daĢ lāimpressione di allontanarsi un poco dal primo tema ā che dominava ad esempio in Lāuccello che girava le viti del mondo o Dance Dance Dance ā per avvicinarsi al secondo, anche se il rimpianto ha ispirato fin dallāinizio alcune delle sue opere piuĢ importanti (Norwegian Wood, A sud del confine a ovest del sole, Lāincolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio). Nel suo ultimo romanzo, Lāassassinio del Commendatore, ho sentito un affievolirsi dellāelemento fantastico e surreale. Non so se questāevoluzione sia dovuta a una scelta, o allāacuirsi della nostalgia ā nostalgia della giovinezza, di unāetaĢ della vita in cui le potenzialitaĢ sembrano illimitate ā che in misura piuĢ o meno grande accompagna ogni persona man mano che avanza negli anni. Se in futuro ne avroĢ lāoccasione, lo chiederoĢ a Murakami stesso.
La sua scrittura, a prescindere dai temi, ha subito un cambiamento?
Nella lectio magistralis che ha tenuto al teatro di Alba lo scorso 11 ottobre, quando ha ricevuto il premio La Quercia – Lattes Grinzane 2019, Murakami ha detto: Ā«Sono passati quarantāanni dalla pubblicazione di quel mio primo romanzo, ma da allora il mio modo di scrivere fondamentalmente non eĢ cambiatoĀ». E in effetti, pur traducendolo da piuĢ di ventāanni, non ho notato unāevoluzione nel suo stile, che eĢ rimasto quello semplice, molto vicino al parlato, delle prime opere. Tuttavia, a un certo punto della sua carriera di scrittore, Murakami eĢ passato dalla prima alla terza persona. Ā«Raccontare una storia cosiĢ lunga solo dal punto di vista dellāio narrante peroĢ mi spaventavaĀ», dice nel saggio Il mestiere dello scrittore a proposito di Lāuccello che girava le viti del mondo, e infatti da La ragazza dello Sputnik in poi eĢ passato alla terza persona. Sono nellāultimo romanzo eĢ tornato alla prima.
Come traduttrice ha definito la sua traduzione come āquasiā identica allāoriginale. Cosa intende con questo āquasiā? Quanto si allontana dalla definizione che ne aveva dato Umberto Eco?
In realtaĢ, accennando al titolo Dire quasi la stessa cosa di una raccolta di testi di Umberto Eco, mi riferivo alla traduzione in genere, non al mio lavoro, che non tocca a me valutare. EĢ ovvio comunque che non intendevo confrontarmi con il pensiero di un semiologo della levatura di Eco, non ho le conoscenze necessarie per farlo, anche se concordo pienamente con i concetti di Ā«equivalenza di significatoĀ» e Ā«riprodurre lo stesso effettoĀ» di cui parla in alcuni di quei testi. Nel brevissimo intervento che sono stata chiamata a fare prima della lectio magistralis di Murakami,Ā con le parole āuno scrittore ha detto che tradurre consiste nel riscrivere quasi la stessa cosaā, volevo soltanto evidenziare la valenza limitativa che comunemente viene data a questo avverbio. Nel dizionario Treccani, alla voce āquasiā leggo: Ā«Circa, pressappoco, poco meno che; indica in genere che la quantitaĢ, la qualitaĢ, la condizione espressa dalla parola o dalle parole seguenti non eĢ pienamente raggiunta ma si eĢ a essa molto viciniĀ».
Ora, per me quel āquasiā eĢ invece il margine di libertaĢ che permette a chi traduce di far percepire al lettore lāatmosfera e le emozioni del testo originale, possibilmente con la stessa intensitaĢ e freschezza. Un margine che non solo autorizza, ma obbliga a volte a cambiare notevolmente il testo, tanto piuĢ quando la lingua di partenza appartiene una civiltaĢ lontanissima da quella dāarrivo. Come ho detto durante il mio intervento, nella cultura giapponese lāespressione dei sentimenti e delle emozioni eĢ molto contenuta, a volta addirittura repressa, di conseguenza uno scrittore, nei suoi libri, faraĢ parlare i personaggi in modo consono alle usanze del paese. Per far siĢ che il lettore italiano attribuisca alle parole di questi personaggi lo stesso senso che vi daĢ un lettore giapponese, dovroĢ dunque tradurle in maniera che vengano interpretate correttamente. A volte, per evidenziare un moto del cuore, mi saraĢ necessario aggiungere qualcosa ā un aggettivo, un avverbio, tre puntini di sospensione ā o usare un giro di parole; altre volte invece dovroĢ sottrarre qualcosa, ad esempio sveltire una formula di cortesia, al fine di lasciar intuire, al di laĢ della facciata, il calore umano di chi parla. Solo cosiĢ riusciroĢ a dare vita a una sensazione, spontaneitaĢ a un dialogo, pathos a unāatmosfera. Si tratta insomma di fare una Ā«mediazioneĀ» ā per tornare a un concetto di Umberto Eco ā, assumendomene tutta la responsabilitaĢ. Non eĢ sempre facile, lo riconosco, spesso ci vuole un certo coraggio per osare allontanarsi dal testo originale, ma in questo intervento ā nel āquasiā ā consiste il merito e il fascino del mio lavoro. E il rischio. Ma il rischio fa parte di ogni avventura, inclusa quella bellissima di tradurre un grande scrittore.
Tra gli elementi fondamentali della sua scrittura, Murakami ha individuato il ritmo e lāarmonia. Come eĢ possibile restituire in italiano quel particolare tipo di musica?
Per buona sorte di noi traduttori, lāitaliano ha un suono simile a quello del giapponese, con la prevalenza di vocali e la scansione precisa delle sillabe. Di conseguenza per seguire il ritmo della scrittura di Murakami basta riprodurre, nella misura del possibile, i suoi rallentamenti, le sue pause e le sue accelerazioni. CāeĢ da dire peroĢ che la lingua giapponese sopporta bene le ripetizioni, percheĢ gli ideogrammi hanno sul lettore un impatto visivo piuĢ che uditivo ā succede che si riconosca un ideogramma, se ne capisca il significato, senza saperlo pronunciare. In italiano invece le ripetizioni vanno evitate percheĢ intralciano il flusso della lettura, creando disagio nel lettore, che non puoĢ fare a meno di āsentirleā mentalmente. Credo comunque che il compito sia molto piuĢ arduo per i traduttori americani di Murakami, percheĢ la lingua inglese, pur sopportando qualche ripetizione, tende a sintetizzare e ha parole molto piuĢ corte di quelle giapponesi. Questo per quel che riguarda il linguaggio.
Se poi ci riferiamo a quel ritmo Ā«che riesce a mandare avanti il raccontoĀ», ai crescendo e diminuendo di tensione e intensitaĢ emozionale nel corso della narrazione, di nuovo il traduttore deve cercare di rispettare i tempi dellāoriginale per non alterarne lāarmonia, per ricreare quella Ā«melodiaĀ» di cui Murakami ha parlato nella sua lectio magistralis. Nel secondo capitolo di Il mestiere dello scrittore, riferendosi ai suoi primi tentativi, dice: Ā«Mentre scrivevo, la sensazione che provavo era piuĢ vicina al āfare musicaā che al ācomporre frasiā, e ancora oggi cerco di preservarla gelosamente. Il che significa forse che eĢ una sensazione piuĢ corporea che mentale. Mantenere il ritmo, trovare begli accordi, credere nella forza dellāimprovvisazioneĀ». Questo ritmo Murakami sa trasmettercelo grazie alla spontaneitaĢ della sua scrittura, e chi traduce le sue opere lo percepisce con una forza che dovrebbe essere sufficiente a riprodurlo.
Che rapporto la lega allāuomo scrittore? Ć necessario o auspicabile un contatto diretto con lui durante lāopera di traduzione?
A essere sincera, ho incontrato per la prima volta Murakami Haruki lo scorso 11 ottobre, fino ad allora avevo comunicato con lui solo via mail (per inciso, devo dire che risponde sempre nel giro di poche ore a ogni mio messaggio, cosa che trovo di suprema correttezza, considerato il numero di mail che gli deve arrivare ogni giorno). Malgrado non lo conoscessi personalmente, tuttavia, mi sono sentita spiritualmente vicina a Murakami fin dalle prime traduzioni, percheĢ fondamentalmente condivido la sua visione della vita. Abbiamo piuĢ o meno la stessa etaĢ, viviamo entrambi in paesi avanzati, abbiamo attraversato le stesse fasi di sviluppo della societaĢ e fatto esperienze simili in gioventuĢ ā penso al movimento di controcultura alla fine degli anni Sessanta, ā di conseguenza non eĢ sorprendente che ci sia tra noi una sintonia intellettuale, e che entrambi attribuiamo una grande importanza ai valori democratici. La libertaĢ di scrivere cioĢ che vuole, come e quando vuole, eĢ dāaltronde un tema su cui Murakami torna di frequente.
Per chi traduce narrativa, credo che avere una sensibilitaĢ simile a quella dellāautore, una concezione condivisibile delle relazioni interpersonali, della societaĢ e dei problemi che affliggono il mondo, sia piuĢ importante di un contatto diretto. Mi risulterebbe difficile trasmettere ai lettori italiani valori con i quali dovessi sentirmi in disaccordo. Detto cioĢ, ovviamente il fascino che esercita su di me lāopera di Murakami Haruki non si spiega solo con argomentazioni razionali, nasce da profonde ragioni inconsce; di conseguenza conoscere personalmente lo scrittore, scoprire in lui, conversando, una persona affabile e sentire nelle sue parole apprezzamento per il mio lavoro, eĢ stata una forte emozione, una grande gioia.