Vanni Santoni – La scrittura non si insegna

Minimo sindacale

di Massimo Castiglioni

Vanni Santoni
La scrittura non si insegna
pp. 95, € 13,
minimum fax, Roma 2020

La scrittura non si insegna: il titolo del pamphlet di Vanni Santoni, da poco pubblicato presso minimum fax, è di per sé eloquente. La scrittura, appunto, non può essere insegnata, tuttavia non bisogna cadere nella demonizzazione e negare preventivamente l’utilità di corsi o scuole di scrittura: bisogna semmai intendersi su cosa accade in quelle aule, su quale atteggiamento deve assumere l’insegnante e su cosa offrire agli allievi. Santoni, che partecipa a queste attività come docente, ha le idee sostanzialmente chiare: non è possibile insegnare a scrivere “ma forse si può insegnare a pensare come uno scrittore”, e la validità di corsi e manuali può essere solo a integrazione di quelle che dovrebbero essere le principali occupazioni dell’aspirante scrittore: leggere e scrivere. Leggere, in particolare, non è un’operazione che può essere svolta con troppa disinvoltura, accumulando libri su libri indiscriminatamente nell’assurda convinzione che conti solo la quantità. Come un atleta che per lavoro deve allenarsi e seguire un preciso regime alimentare, anche le letture del futuro scrittore vanno organizzate secondo un giusto criterio nutritivo. Santoni propone una sua dieta, una lista di opere necessarie da cui partire. I primi titoli danno una precisa impronta: Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust e l’Ulisse di James Joyce (picchi dell’arte romanzesca: conoscerli “è davvero il minimo sindacale”). A seguire, autori del Novecento o contemporanei: 2666 di Roberto Bolaño, Underworld di Don DeLillo, Europe Central di William T. Vollmann, Abbacinante di Mircea Cărtărescu, Infinite Jest di David Foster Wallace e Austerlitz di W. G. Sebald.

Si tratta di testi piuttosto voluminosi che richiedono tempo, e l’aver scelto loro viene da una considerazione piuttosto semplice: se si vuole seriamente scrivere un romanzo allora non si può scappare da quei nomi (al di là, poi, dell’evidente fatto che ogni docente applica un suo criterio, e uno dei punti di interesse di questo libro sta nel poter dare un’occhiata al canone di testi formativi proposti dall’autore). La lista si arricchisce poi di altre personalità, sempre grandissime, sempre irrinunciabili. La dieta di Santoni può essere vantaggiosa anche per altri: può ispirare nel lettore (che sia occasionale o di professione) il facile e non sempre gratificante gioco di “ho letto questo?” e spingere verso opere che erano state messe da parte. Del resto, non solo gli atleti professionisti si allenano o curano la propria alimentazione: sono attività che possono migliorare chiunque (e, tornando ai libri, l’ideale sarebbe che proprio tutti gli addetti ai lavori – scrittori o critici, professori o redattori editoriali – si mettessero in pari con la dieta santoniana: è meno scontato di quanto si creda).

La selezione è avvenuta grazie all’esperienza. Ma come mai proprio quei titoli? “Non è soltanto utile perché sono lo stato dell’arte contemporaneo della forma romanzo, ma anche perché sono enormi, e se vogliamo anche imperfetti, e per questo pieni di porte d’accesso e forieri di infinite suggestioni”. Testi dotati di perfezione assoluta (tipo i racconti di Kafka o Lo straniero di Camus) non si sono dimostrati altrettanto efficaci; del resto, lo abbiamo accennato, non si tratta di una classifica di preferenze ma di una lista votata all’utilità.

E una volta rispettata la dieta, cosa deve fare il futuro scrittore? Semplicemente ciò per cui si sta tanto impegnando: scrivere. E con rigida disciplina. Duemila battute al giorno andrebbero bene, magari tremila. Da maestro severo, Santoni spinge molto sulla disciplina. Un modo, casomai ce ne fosse bisogno, per smentire quei fastidiosi stereotipi romantici quale l’ispirazione assoluta o il genio irruento. Lo scrittore deve lavorare, è un professionista, e quando è preso dall’ispirazione scrive semplicemente di più e forse meglio. Un atteggiamento che potrebbe dare fastidio ai più sentimentali (o sedicenti tali) ma che rivela soltanto un sincero attaccamento al proprio lavoro (nessuno è costretto a scrivere, nessuno deve fare esclusivamente questo per vivere: si dovrebbe fare solo per passione).

Dopo le essenziali indicazioni sul leggere e scrivere, seguono alcuni consigli pratici sulle cose da non fare. Più interessante il capitolo finale sulle pubblicazioni, dove si suggerisce caldamente di scrivere su delle riviste, perché è lì che gli editor vanno a cercare i migliori. A dare queste indicazioni non è solo un romanziere, ma anche il responsabile dei romanzi Tunué, dalla cui esperienza si ricavano molte suggestioni. Santoni è un erede diretto di quella ricca tradizione di letterati editori che ha segnato il Novecento italiano e di cui ha parlato Alberto Cadioli nel suo Letterati editori (cfr. “L’Indice” 2017, n. 10): la tradizione dei Vittorini, dei Calvino o dei Sereni, giusto per fare qualche nome; per questo motivo, La scrittura non si insegna, in quanto opera di un intellettuale a tutto tondo, resta una lettura stimolante per chiunque si occupi di letteratura, romanziere o meno.

massimo1812@gmail.com

M. Castiglioni è saggista